Non solo pane. Oltre la prima assistenza San Marcellino “si propone, attraverso l’incontro con le persone che vivono sulla strada, di mediare il conflitto sociale da loro vissuto, tentando di influenzare la visione politica e culturale del territorio”. Così Padre Francesco Cambiaso, direttore dell’opera dei Gesuiti che lavora a favore delle persone senza dimora a Genova, spiega lo spirito e la finalità che muovono le decine di attività che ruotano intorno a questa filosofia di mediazione: “Due aspetti sono strettamente connessi nel nostro lavoro: la progettualità con la persona oggetto del servizio attraverso la mediazione dei significati, e l’attività di contaminazione del contesto sociale attraverso la mediazione culturale e comunitaria”.
Chi intendete per senza dimora? “San Marcellino” intende il termine dimora come luogo di affetti, di relazioni significative, di simboli determinanti la nostra identità”.
Mi fa qualche esempio su cosa significa mediazione dei significati nel contesto in cui operate “San Marcellino sviluppa una relazione che diventa luogo di confronto e di mediazione dei significati, dove i bisogni dell’’utente’ e dell’operatore evolvono mediante diciamo… una negoziazione di senso. Beh, detto con un esempio è più facile: quando una persona chiede una saponetta e sono tre anni che non si lava, per me sono 50 centesimi, per lei è una grande svolta nelle relazioni… Significa amore per sé e possibilità di relazioni con gli altri. Così se uno chiede “’lavoro’ magari non vuole impiego ma autonomia, o se un operatore vuole ‘infilare’ in dormitorio qualcuno che ancora non se la sente, in realtà sta solo rispondendo a una sua ansia di normalità…Nella pratica la persona in condizione di senza dimora si rivolge all’Istituzione per chiedere cose, e la portata di questa richiesta va capita, individuandone il senso profondo, il significato, sia per chi chiede che per chi deve soddisfare la richiesta. La comprensione della domanda implicita porta a un cambiamento degli attori coinvolti. Ragionando così abbiamo imparato la mediazione, a mediare! E ora – su richiesta del Comune – facciamo corsi di ‘mediazione comunitaria’ alla Polizia Municipale: insegniamo ai Vigili che si possono attrezzare le persone a capire e risolvere i loro conflitti, senza il bisogno di dare multe… E’ un lavoro derivato da ciò che ci hanno insegnato i senza dimora”.
Questo metodo di lavoro ha qualche riferimento scientifico, qualche linea di pensiero, di riferimento? “Per spiegare meglio questo concetto ci viene in aiuto Robert Castel il quale sottolinea che in generale chi si occupa specificamente di inserimento tende a proporre alle persone che vivono una situazione di disagio il cambiamento come modo per venir fuori dalla loro condizione. Ne consegue un’idea di responsabilità della loro situazione unicamente personale, dimenticando che la progettualità della persona necessita di risorse. Fare esperienza quotidiana della mancanza di risorse impedisce lo sviluppo della persona; la sicurezza del presente, infatti, ci permette di pensarci nel futuro”.
Operare in questa direzione significa anche promuovere cambiamenti nei comportamenti, nelle organizzazioni. Come vi muovete? “E’ un lungo lavoro di contaminazione che intende la lotta per la giustizia come individuazione e eliminazione delle radici dell’ingiustizia, e soprattutto come sviluppo di luoghi di riflessione, di formazione, di testimonianza attorno ai temi centrali dell’esperienza umana. L’incontro con la sofferenza ha un enorme potenziale di cambiamento, quando diventa cultura trasforma la società. Ci sembra, questo, forse l’unico modo per impedire che il nostro lavoro sia ridotto unicamente alla funzione di controllo sociale”.
Spesso il lavoro sociale viene inteso come mezzo utile al controllo sociale. In quest’ottica le cose cambiano…. “Ai fini di un’effettiva mediazione risulta importante impedire che il lavoro sociale sia ridotto a una mera funzione di controllo sociale, infatti restare aderenti al valore esplicitato all’inizio vuol dire realizzare una società maggiormente coesa. Si parla di coesione sociale pensando modelli di società, sistemi e organizzazioni che non frammentino la persona a favore di un’ideologia o di un mercato. Coesione perché è il contesto che definisce una condizione di esclusione o non integrazione”.
Quali sono le attività orientate alla mediazione? “Per operare questo tipo di mediazione San Marcellino ha strutturato nel tempo attività culturali di vario genere: ai circa 300 volontari, agli Operatori e a chi ci sostiene offriamo un vero e proprio percorso di crescita, attraverso proposte di riflessione atte all’elaborazione e al confronto su quanto l’incontro con la sofferenza muove dentro di loro, anche attraverso percorsi formativi e di supervisione. Le attività pubbliche, poi, (generalmente conferenze e serate rivolte alla città), sono considerate molto importanti come occasioni di approfondimento culturale. Poi ci sono i corsi di mediazione comunitaria, dove insegniamo a chi vuole l’arte della mediazione”. vi.pri
[da Gesuitinews.it]